Tantissimi ricercatori stanno offrendo competenze, impegno, lavoro e tecnologie al servizio della battaglia contro la pandemia da coronavirus. Dalla crisi nasce un’opportunità per sviluppare ed incrementare i sistemi di cooperazione, le reti scientifiche, l’open science, i registri sanitari pubblici, i big data, ma anche per condividere nuove ipotesi e nuovi metodi sperimentali. Certamente a questi appartiene la biopsia liquida illustrata su Nature dal suo ideatore Alberto Bardelli dell’Università di Torino.
La biopsia liquida consente di diagnosticare e seguire lo sviluppo di un tumore analizzando pochi frammenti di DNA del tumore rivelabili e circolanti nel sangue. Accade spesso nella ricerca scientifica che uno strumento messo a punto per un obiettivo specifico si riveli utile in contesti diversi. Anche in questo caso la biopsia liquida nata in ambito oncologico si può rivelare preziosa nella lotta alla CoViD-19.
I due contesti hanno un problema comune quando si dispone di poco DNA per poterlo analizzare: occorre allora produrre tante copie con il rischio di introdurre qualche errore. Per ridurre questo rischio il gruppo di Bardelli ha messo a punto il metodo del doppio bar coding per riconoscere questi errori di copiatura pericolosi anche nella via di arrivare ad un vaccino contro il coronavirus.