La scienza che dovrebbe produrre conoscenza a volte non ha la possibilità di farlo: questo avviene quando le evidenze sperimentali non sono coerenti fra loro a causa della variabilità del sistema studiato, delle condizioni sperimentali diverse, della scarsa riproducibilità, delle diverse tecniche applicate.
In queste situazioni rientra proprio la varietà di opinioni diverse da parte di scienziati affidabili sulla covid-19. La scienza, pur proseguendo il suo cammino alla costante ricerca di conoscenze e verità, deve essere in grado di proporre misure nuove, che possano aiutare a raccogliere dati utili a superare l’emergenza, nella logica di quello che gli inglesi chiamano la cultura del “why not?”.
Allora io credo che questo sia proprio il tempo di queste proposte piuttosto che di sofisticate discussioni teoriche. In questa prospettiva da chimico osservo che alcune domande che compaiono nelle discussioni di questi giorni potrebbero ottenere, se non risposte complete, comunque indicazioni preziose da misure finalizzate a rispondere ad alcune domande che l’emergenza stessa ha posto:
– c’è correlazione fra particolato atmosferico alle varie granulometrie e diffusione del virus?
– qual è il tempo di vita e la concentrazione del virus in ambienti indoor ed outdoor?
– è possibile l’inattivazione del virus su specifici materiali e qual’è la sua stabilità su questi ed altri?
– le differenze di resistenza al virus che produce danni trascurabili in alcuni e la morte in altri, pure in condizioni fisiologiche confrontabili, possono essere imputate a differenze di patrimonio enzimatico, di condizioni di stress ossidativo degli esposti?